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Bergson sull'oggetto dell'arte

La riflessione di Henri Bergson si propone di superare da un lato il determinismo positivistico e dall'altro la concezione finalistica dell'universo. Secondo il filosofo, la realtà non è data una volta per tutte, ma si caratterizza per durata e mobilità infinita, esito cioè non di un piano prestabilito ma di una potenza che si differenzia via via nel rapporto con la materia stessa. Per cogliere la realtà nella sua immediatezza è necessaria l'esperienza pura dell'intuizione, che consiste in un movimento della coscienza fuori da sé, di un'astrazione compiuta dall'intelletto, di una mediazione permessa dalla vita sociale. Questo è in primo luogo uno sforzo filosofico, che consente all'uomo di attingere nella natura la dimensione dello "slancio vitale" e, per così dire, farne esperienza nell'arte, in quanto "emozione creatrice".

Bergson, Henri

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INTRODUZIONE

Bergson, Henri (Parigi 18.10.1859 ivi 4.1.1941 ), filosofo francese. Nato da una famiglia di origine ebraica, si laureò in filosofia e matematica all'Ecole Normale Supérieure di Parigi, dove fu allievo di Boutroux e di Ollé-Laprune (1839-1898). Insegnò nei licei dal 1881 al 1897, anno in cui divenne professore all'Ecole Normale; due anni dopo fu nominato professore di filosofia al Collège de France, dove il suo insegnamento ottenne un successo enorme. Nel 1914 Bergson divenne membro dell'Accademia di Francia e nel 1927 gli fu conferito il premio Nobel per la letteratura. Negli ultimi anni si avvicinò alla fede cristiana, pur rifiutando il battesimo per non tradire le proprie origini e condividere la sorte della comunità ebraica durante l'occupazione di Parigi da parte delle truppe naziste.

Bergson fu un maestro di stile nella prosa e un oratore brillante e vivace. I suoi libri, ma anche gli articoli e le lezioni sulla filosofia, sull'arte e sulla letteratura del XX secolo esercitarono una grande influenza e dettero vita a un movimento autonomo, il bergsonismo, etichettato come intuizionismo filosofico.

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IL TEMPO SPAZIALIZZATO E LA DURATA

Nella filosofia di Bergson convergono diversi elementi della tradizione dello spiritualismo francese (Malebranche, Pascal). Bergson subì anche l'influenza dell'evoluzionismo di Spencer, che egli, nel Saggio sui dati immediati della coscienza (1889), volle sviluppare in una direzione divergente dal positivismo. Studiando la teoria evoluzionistica Bergson scoprì infatti che essa si fondava ancora su una rappresentazione "spazializzata" del tempo, ossia su un tempo lineare, costituito da una serie infinita di punti discontinui. Facendo però ritorno ai dati immediati della coscienza, si scopre quella che è la natura autentica del tempo, cioè la "durata", intesa come una successione di momenti qualitativamente connessi tra loro e non distaccabili in modo netto, ovvero come un flusso in cui ciascun momento si compenetra con l'altro. Con evidenti reminiscenze agostiniane Bergson si rivolgeva all'analisi del tempo interiore della coscienza e scopriva come al suo interno non vi sia soluzione di continuità fra gli stati psichici relativi al passato, al presente e al futuro.

In Materia e memoria (1896) Bergson affrontò i problemi relativi al rapporto fra corpo e spirito, fra cervello e coscienza, nella prospettiva di un superamento di ogni rigido dualismo: l'opposizione fra materia e spirito è risolta nel rapporto fra percezione e memoria, ossia fra l'orientamento verso il presente e i suoi bisogni pratici, che è tipico della percezione, capace di dar vita tutt'al più a una "memoria-abitudine", e la memoria vera, che in quanto "durata", coincide con l'essenza della vita spirituale.

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LO SLANCIO VITALE

Su queste basi Bergson perveniva, nell'Evoluzione creatrice (1907), a una concezione generale della realtà, per la quale non solo la vita della coscienza, ma anche il divenire dell'intero universo costituisce uno slancio, una "azione che continuamente si crea e si arricchisce", manifestandosi nelle forme della vita vegetale e animale e, a un livello più elevato, nell'uomo. Rispetto a questo "slancio vitale", la materia costituisce il momento dell'arresto. Bergson riteneva inoltre di distinguere la sua dottrina dell'evoluzione creatrice sia dal meccanicismo sia dal finalismo, in quanto a entrambe le concezioni è sottesa una visione deterministica, mentre lo slancio vitale è creazione libera e imprevedibile.

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IL RUOLO DELL'INTUIZIONE

L'uomo, secondo Bergson, prima ancora di essere homo sapiens è homo faber. In lui infatti all'istinto, come capacità di utilizzare strumenti naturali (gli organi corporei), si accompagna l'intelligenza, intesa come capacità di fabbricare strumenti artificiali. La scienza appare a Bergson come un affinamento dell'intelligenza, finalizzata alla costruzione di schemi astratti che consentono di portare ordine nell'esperienza e di adempiere a scopi pratici; ma essa non è in grado di cogliere la vera natura della vita, che invece è dischiusa dall'intuizione, una sorta di ritorno consapevole dall'intelligenza all'istinto. L'intuizione è definita da Bergson "la simpatia che ci trasporta all'interno di un oggetto per coincidere con quello che esso ha di unico", la quale consente di cogliere l'essenza della realtà come durata e slancio vitale.

La stessa opposizione che Bergson istituisce fra materia ed evoluzione creatrice, fra intelligenza e intuizione, è alla base delle distinzioni che egli opera, nelle Due fonti della morale e della religione (1934), fra società chiusa e società aperta, fra morale o etica dell'obbligazione (di tipo conformistico e relativa a un sistema di abitudini ristretto) e morale aperta (diretta sempre in avanti e rinnovantesi), fra religione statica (che poggia sui miti e sulle superstizioni) e religione dinamica (che si rivolge a Dio nell'esperienza mistica).

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