bullet1 Filosofia analitica

Filosofia analitica

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INTRODUZIONE

Filosofia analitica Corrente filosofica sorta in Europa e diffusasi in particolare in ambito anglosassone nel XX secolo; essa considera l'indagine filosofica come un'indagine di tipo essenzialmente scientifico che ha nel linguaggio il suo oggetto primario. I filosofi analitici non propongono grandi sistemi unitari o ardite sintesi speculative sulle cause ultime delle cose, ma concordano circa il fatto che la filosofia sia un'attività rigorosa e scientifica di chiarificazione del linguaggio, e in taluni casi rivelatrice delle strutture cognitive. Scopo di tale attività è evidenziare, e talvolta risolvere, problemi filosofici classici generati da forme di confusione linguistica.

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ASPETTI GENERALI

Poiché non dà luogo a riflessioni di carattere sistematico, la filosofia analitica non si lascia compendiare in alcuni principi fondamentali, condivisi da tutti i filosofi che si richiamano a essa; si possono però indicare alcuni atteggiamenti comuni, quali l'avversione per la speculazione sistematica, l'attenzione per i fatti linguistici, la propensione a una ricostruzione del significato delle parole che ponga termine alle dispute concettuali e ai falsi problemi che hanno finora contraddistinto il dibattito filosofico, la risoluzione della filosofia in filosofia del linguaggio. Tuttavia tra i filosofi analitici non c'è accordo a proposito della natura dell'analisi linguistica o concettuale. Alcuni si sono preoccupati principalmente di chiarire il significato di particolari parole o proposizioni, ai fini di una dissoluzione dei problemi filosofici nati da un loro errato impiego; altri si sono rivolti alla creazione di linguaggi formali rigorosi di natura matematica, che consentirebbero di esprimere correttamente contenuti concettuali e verità scientifiche; altri filosofi analitici si sono invece concentrati sull'analisi del linguaggio comune.

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ORIGINI

Il metodo filosofico dell'analisi linguistica è antico quanto la filosofia stessa: molti dialoghi di Platone, nonché i trattati di Aristotele, partivano dall'analisi di termini e concetti; lo stesso avvenne per buona parte della scolastica medievale. Questo modo di filosofare, tuttavia, ricevette un rinnovato impulso nel XX secolo: influenzati da un lato dalla tradizione empirista risalente a Locke, Hume e John Stuart Mill, dall'altro dalle opere del filosofo e matematico tedesco Gottlob Frege, i filosofi britannici George Edward Moore e Bertrand Russell inaugurarono l'orientamento analitico della filosofia contemporanea. Essi si dichiararono convinti che l'attenzione al linguaggio fosse cruciale nella ricerca filosofica e imposero uno stile filosofico diffuso in gran parte del mondo anglosassone per tutto il secolo.

Per Moore la filosofia fu innanzitutto e soprattutto analisi del linguaggio. Compito del filosofo è chiarire le proposizioni del senso comune, risolvendole in proposizioni elementari, e cercare di determinare la relazione fra queste e le proposizioni filosofiche, sciogliendone le ambiguità e le confusioni. Moore fu celebre per le sue accurate analisi (sviluppate a partire da obiezioni apparentemente ingenue) di asserzioni filosofiche di dubbio significato, del tipo: "il tempo non è reale".

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FILOSOFIA ANALITICA E ATOMISMO LOGICO

Dal canto suo Russell introduce nell'analisi filosofica la nuova logica matematica elaborata da Frege, da Peano e da lui stesso. Essa non solo consente di risolvere i falsi problemi della cattiva filosofia, ma di elaborare un linguaggio logico ideale, capace di rispecchiare l'essenza del mondo. Già Frege aveva perseguito l'obiettivo di costruire un simbolismo rigoroso, che riuscisse a illuminare la pura struttura logica degli enunciati, in modo da stabilire per ciascuno di essi un criterio di verità certo. Russell riprende questo approccio filosofico e distingue tra la forma logica profonda delle espressioni linguistiche e la loro forma grammaticale di superficie; inoltre egli, in sintonia con quelli che saranno gli esiti del Tractatus logico-philosophicus di Wittgenstein, ritiene che le proposizioni complesse siano scomponibili nelle loro componenti più semplici, chiamate "proposizioni atomiche", che a loro volta corrispondono ai fatti atomici della realtà. A questa impostazione filosofica Russell dà il nome di "atomismo logico". Nel complesso Russell persegue l'obiettivo di rendere trasparente la struttura del reale che il linguaggio ordinario nasconderebbe, mediante una rigorosa ritrascrizione delle asserzioni di quest'ultimo in termini logico-matematici. L'analisi filosofica si configura così come analisi logico-matematica.

Nella sua prima opera importante, il Tractatus logico-philosophicus (1921), Wittgenstein affermò che "tutta la filosofia è critica del linguaggio" e che "la filosofia si pone come scopo il rischiaramento logico dei pensieri". Il mondo, sostenne Wittgenstein, è costituito da fatti semplici, che il linguaggio deve rappresentare. La condizione di senso delle proposizioni sul mondo consiste nella loro riducibilità ad asserzioni che rispecchiano i fatti semplici non in virtù di una loro somiglianza esteriore (come quella che c'è tra un quadro e la cosa ritratta), ma di una identità fra la struttura della immagine linguistica e il fatto che vi è raffigurato. In questa prima analisi di Wittgenstein soltanto le proposizioni empiriche della scienza e le tautologie della logica sono considerate sensate, mentre le proposizioni della metafisica, dell'etica, dell'estetica risultano prive di senso, ossia né vere né false.

A quest'ultima tesi di Wittgenstein si riallacceranno Moritz Schlick e Rudolf Carnap, i fondatori del circolo di Vienna, per teorizzare il loro principio di verificazione, in base al quale un enunciato, che non sia analitico, ha significato solo se è verificabile; anche per loro fra le proposizioni analitiche della logica e della matematica (che sono vere per una convenzione sui significati dei termini che vi ricorrono) e le proposizioni verificabili delle scienze empiriche (fondate su dati di fatto), non vi è posto per le pseudoproposizioni della metafisica e della filosofia tradizionale. Il circolo di Vienna nasceva per influenza delle idee di Russell e di Wittgenstein, ma anche sulla scia della filosofia della scienza di Ernst Mach, e dava luogo negli anni Venti del Novecento a un movimento filosofico noto come neopositivismo. Nelle analisi dei neopositivisti la filosofia si trasforma in attività chiarificatrice del linguaggio inteso esclusivamente come linguaggio scientifico e persegue l'obiettivo di sostituire alle espressioni ambigue del linguaggio ordinario un linguaggio simbolico preciso. Le idee del positivismo logico divennero popolari in Inghilterra dopo la pubblicazione di Linguaggio, verità e logica (1936) di Alfred Ayer.

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L'ANALISI DEL LINGUAGGIO COMUNE

Sebbene Wittgenstein fosse all'origine delle concezioni dei neopositivisti, egli non aderì ai loro orientamenti; anzi, ripudiando molte delle precedenti conclusioni del Tractatus, egli inaugurò negli anni Trenta e Quaranta un nuovo stile di pensiero culminante nelle Ricerche filosofiche, che vennero pubblicate postume (1953). In quest'opera Wittgenstein si orientò su un'analisi del linguaggio ordinario, affermando che "ogni proposizione del nostro linguaggio è in ordine così com'è". I modi del significare sono ora intesi come più vari del dire il vero o il falso: anche il domandare e il rispondere, il comandare e l'obbedire, la promessa, la preghiera ecc. sono operazioni linguistiche del tutto legittime, ovvero costituiscono altrettanti e diversi "giochi linguistici". Il senso di una proposizione non consiste semplicemente nel rappresentare un fatto, ma nelle circostanze caratteristiche del suo uso e va dunque compreso nel contesto delle regole del gioco linguistico cui appartiene. L'atteggiamento filosofico corretto non consiste più per Wittgenstein nel sostituire il linguaggio ordinario con uno più rigoroso, ma nel risolvere gli equivoci che sorgono a causa di una cattiva interpretazione del linguaggio ordinario.

Da questi orientamenti di Wittgenstein prese l'avvio la filosofia analitica del linguaggio comune, che ha avuto i suoi centri di irradiazione in Inghilterra, nelle università di Oxford e di Cambridge, per opera di autori come John Wisdom (nato nel 1904), Friedrich Waismann (1896-1959) e lo stesso Ayer (in una seconda fase della sua riflessione).

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RECENTI SVILUPPI

La filosofia analitica inglese si è sviluppata in diverse direzioni: si va dalla ricerca di Gilbert Ryle, orientata al progetto di riscrivere le "proposizioni strutturalmente fuorvianti" in forme logicamente più esatte, al tentativo avviato da Frederick Strawson di una logica del linguaggio ordinario, dalla teoria degli "atti linguistici" di John Austin ad alcuni sviluppi in senso etico della filosofia analitica.

Una posizione originale è quella dell'americano Quine, il quale si è distinto per una critica radicale di quelli che definisce i dogmi dell'empirismo: si tratta della distinzione fra proposizioni analitiche (vere per convenzione linguistica) e proposizioni sintetiche (vere empiricamente) e dell'atteggiamento riduzionista, secondo cui ogni proposizione dotata di senso può essere ricondotta a proposizioni che vertono su esperienze puntuali e che sono confermabili (o refutabili) isolatamente. Da qui nasce la convinzione di Quine che gli enunciati non possiedano un significato determinato presi isolatamente, ma solo in quanto rientrano in un più ampio sistema linguistico.

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