Appartenenza?
Nella società spappolata dagli egoismi, come appare nell'ultima rapporto del Censis,
secondo Giuseppe De Rita il ruolo di supplenza della chiesa cattolica si è evoluto fino a
conquistare il cuore dei rapporti sociali: il campo dell'appartenza. «La chiesa è l'unica ormai
a capire che si fa sociale con l'appartenenza. Non si tratta soltanto di fornire servizi ma
anche accoglienza, valori di riferimento, identità. Un tempo in Italia erano molte le classi di
appartenenza. Se penso al Pci nelle regioni rosse o ai grandi sindacati, alla rete delle case
del popolo, alle cooperative, questo mondo è scomparso in gran parte, la mediatizzazione
della politica ha cambiato i termini della questione. Oggi se Veltroni vuoi lanciare il Partito
Democratico pensa a un evento, ai gadget, alla comunicazione, ma non è la stessa cosa. Lo
stato italiano, a differenza di altri, non ha mai saputo creare appartenenza e per questo non
è in grado di fare politiche sociali efficaci, per quanto costose. I comuni sono l'unica
appartenenza politica degli italiani». Non è un caso che siano proprio i comuni, i sindaci, a
entrare più spesso in conflitto con la supplenza del clero, per esempio nella vicenda dell'Ici.
Ma non è paradossale che una società sempre più laicizzata affidi compiti così importanti al
clero? La risposta di De Rita è netta. «E' vero che la religione cattolica in quanto tale è in
crisi. Le scelte individuali ormai prevaricano le indicazioni dei vescovi. La vera forza della
chiesa non sta nel suo aspetto pubblico, mediatico, politico, ma nell' essere rimasta l'unica
organizzazione con un forte radicamento nei territori e una pratica sociale quotidiana. Una
pratica di solidarietà che molti laici non hanno, me compreso. La chiesa di Ruini è un altro
discorso».
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